Il dramma di Ghouta nella fotografia della bambina dal pigiamino rosa...


Nello scatto si vedono i White Helmets calare a forza di braccia, dallo scheletro di un palazzo sventrato dalle bombe del regime di Assad, una bimba di pochi anni.


Diego Minuti
Il miliziano di Robert Capa; il vietcong ucciso con una revolverata in testa nella Saigon devastata dalla guerriglia e dai massacri di civili; il bimbo giapponese che porta sulle spalle il cadavere del fratellino morto per la bomba atomica e che, sull'attenti, aspetta il suo turno per cremarne il cadavere; i marines che alzano la bandiera su Iwo Jima. Immagini che, come si usa dire in modo ormai routinario e che per questo perde d'intensità e significato, dicono più di tante parole. E lo stesso rischia di essere la fotografia della bambina di Ghouta, priva di coscienza, la testolina piegata, che  i soccorritori, a forza di braccia, stanno facendo scendere dallo scheletro di quella che un tempo era la sua casa e che, ora, grazie alla scelleratezza degli uomini, è un simulacro della follia dell'uomo.
Una fotografia scattata forse da un soccorritore, forse da un passante, forse da un fotografo professionista. Poco importa, se non che questa immagine è uno schiaffo alla coscienza del mondo che sta assistendo con colpevole indifferenza alla distruzione di un popolo sull'altare del potere. Ghouta, ma potrebbe essere qualsiasi altro luogo del mondo dove al dialogo s'è sostituita la violenza che non intende fermarsi davanti a nulla, nemmeno alla sofferenza di chi, bimbo o anziano, non ha la forza per difendersi. Che colpa ha pagato quella bimba dai capelli imbiancati dalla polvere, stretta nel suo pigiama rosa e con ancora infilate ai piedi delle ciabatte di un adulto, che la rendono ancora più fragile, più ''vittima'', semmai ci possa essere una gradualità nell'esserlo? Chi ha potuto impunemene ordinato di bombardare quartieri abitati da civili e, semmai fossero il covo dei presunti ribelli, di luoghi comunque abitati da persone che con la guerra non c'entrano nulla? Questa persona - che ha un nome, un cognome ed un passato di violenza - sta uccidendo la sua gente, sta massacrando persone che con la guerra non hanno nulla a che fare, a meno che non si considerino colpevoli anche i testimoni. Il dramma della bimba di Ghouta sarebbe rimasto circoscritto al girone dei dannati di cui fanno parte, loro malgrado, gli abitanti dell'enclave in odio ad Assad, se i White helmets, i soccorritori volontari siriani, non ne avessero colto la drammatica singolarità, pubblicandola sulla loro pagina di Facebook che la gente consulta per sapere sperando di non avere l'ennesima coltellata al cuore.
In questo scatto, purtroppo e per sempre, c'è tutto: l'innocenza, il dolore, la solidarietà, la pietà, l'innocenza.
Per chi ha un briciolo d'umanità, quel pigiamino rosa resterà scolpito nella memoria, per sempre. Come è riuscito a fare Stephen Spielberg, nel suo ''Schindler's list'', quando, nella magistrale cupezza del bianco e nero del suo film, regalò una pennellata di rosso solo al capottino della bimba che, incurante del rastrellamento che le scorre intorno, cammina con passo incerto cercando con lo sguardo un viso amico. Nel film quella bimba e quel cappottino rosso li si rivedrà più avanti, su un carretto carico solo di morte.
La sola speranza è che il rosa del pigiamino della bimba di Ghota non si tramuti nel rosso del sangue...

(Globalist)

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